Una parte consistente della rete degli acquedotti in Italia e nel mondo, sono stati realizzati in fibrocemento, una volta detto anche cemento-amianto o, dal nome del maggiore produttore, Eternit, che è una mistura di cemento e fibre con un’elevata resistenza alla trazione. Ora se per decenni hanno servito in maniera funzionale ed assolto il loro compito, oggi si pone il problema che il materiale con cui sono realizzati non è eterno ma ha un ciclo di vita per cui le tubazioni dovranno essere sostituite.
I manufatti in fibrocemento
I manufatti presentano una notevole resistenza alla corrosione, alla temperatura e all’usura, insieme a una notevole leggerezza. Per tali caratteristiche il cemento-amianto è stato largamente utilizzato dagli anni cinquanta agli ottanta nella costruzione edilizia, in particolare per la realizzazione di lastre di copertura, tubi e cisterne. In origine le fibre utilizzate erano di amianto. Si è in seguito dimostrato che l’amianto è un materiale cancerogeno. Le polveri di amianto infatti, se inalate, possono provocare l’asbestosi, alla quale potrebbero associarsi tumori delle pleure, ovvero il mesotelioma della pleura, e dei bronchi, in caso di esposizioni prolungate. Con la Legge 27 marzo 1992, n. 257 sono state vietate in Italia l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto o di prodotti contenenti amianto. Da allora l’amianto è stato sostituito da altre fibre e si parla di manufatti in fibrocemento ecologico, costituiti da una matrice cementizia rinforzata non da fibre di amianto ma con filamenti organici, naturali e sintetici. Con questa nuova tecnologia si realizzano lastre piane e ondulate, pozzetti prefabbricati, tubazioni, ecc. In edilizia lastre ondulate curve o rette in fibrocemento senza amianto usate con funzione portante per le coperture di manufatti civili ed industriali (in genere tetti di capannoni o come sottocoppo in altre tipologie edilizie) sono state messe in commercio in assenza delle dovute autorizzazioni del Servizio Tecnico Centrale (Ministero dei Lavori Pubblici – Infrastrutture e Trasporti). In assenza di idonei dispositivi di sicurezza, possono dar luogo ad incidenti sul lavoro tipicamente per caduta dall’alto dall’esito quasi sempre mortale. Uno dei materiali (privo dei titoli autorizzativi ed ora non più commercializzato) che ha dato prova di elevato degrado delle caratteristiche meccaniche nel tempo è l’Econit, per anni prodotto in Italia su licenza di Dansk Eternit dalle ditte Maranit (FE) e Copernit (MN), per il quale il primo segnale del decadimento delle caratteristiche di resistenza meccanica è il verificarsi di infiltrazioni dalle coperture dovuta a fessurazione delle lastre ondulate (da Wikipedia).
Le condotte in fibrocemento
Come appare evidente dalla sintesi sopra riportata, se per oltre mezzo secolo il fibrocemento è stato utilizzato dall’industria delle costruzioni ed opere edili praticamente in tutto il mondo (vedi in Francia, Germania, Regno Unito), ci sarà una ragione: è una materiale che presenta una serie di vantaggi essendo leggero, resistente alla corrosione, alla temperatura, all’usura, alla pressione, e ha costi relativamente contenuti. Per questo è stato ampiamente utilizzato anche in ambito idrico, per la costruzione delle condotte. Questo materiale non ha una durata secolare come la pietra o il mattone, e nel corso dei decenni tende a usurarsi, essendo sottoposto alla spinta e alla pressione dell’acqua potabile, in cui sono disciolti altri elementi tra cui il cloro. Quindi da un lato l’usura pluridecennale ne provoca occasionalmente la rottura, circostanza durante la quale si liberano fibre di amianto nella rete; dall’altro lato, essendo un materiale di relativa recente introduzione non è possibile determinarne con esattezza un’obsolescenza, ossia non è possibile dire quanto tempo durano le tubazioni, essendo soggette ad una serie di parametri variabili.
Sebbene nel nostro Paese attualmente non vi sia una norma che stabilisca un limite del contenuto di fibre di amianto discolte nell’acqua potabile, si sta diffondendo sempre maggiormente l’opinione nella comunità scientifica internazionale che sussita la possibilità che l’assunzione da parte dell’organismo umano di tali fibre disciolte nell’acqua dell’aquedotto, possa originare varie patologie, anche a distanza di tempo. Questa correlazione tra assunzione di fibre disciolte nell’acqua potabile e il rischio di patologie va presa in seria considerazione, anche se andrebbe proporzionata ad una serie di circostanze con rischio patogeno anche superiore a cui non facciamo quasi neanche più caso (quali per esempio l’inquinamento da smog degli autoveicoli a motore, le radiazioni elettromagnetiche degli apparecchi elettrici e di telecomunicazione, e l’uso di diserbanti, pesticidi e conservanti nell’agroindustria), che d’altro canto ormai sono parte integrante dello stile di vita a cui tutti siamo abituati nella nostra civiltà tecnologica contemporanea.
1. la sostituzione di tubazioni -spesso interrate in profondità- presenta dei costi non indifferenti, che devono essere in parte caricati sulle bollette.
2. le tubazioni in cemento amianto spesso formano una patina interna di calcare, circostanza che inibisce naturalmente il rilascio di fibre.
3. E’ proprio durante le operazioni di sostituzione, in corrispondenza degli innesti tra materiali diversi, che si possono verificare rilasci di fibra in circolo: il concetto è che paradossalmente, “meno lo si tocca, meglio è“.
4. le tubazioni in polietilene che oggi sono utilizzate in sostituzione del fibrocemento, pare che non abbiano la stessa durata e resistenza, oltre al fatto di essere soggetti alla flora microbica presente nel biofilm che si forma sulle pareti interne. Quindi, l’alternativa oggi esistente può essere davvero porsi come soluzione definitiva?
5. Le condotte in fibrocemento a fine ciclo di vita dovrebbero essere sostituite anche per un motivo tecnico-economico: per ogni 100 litri pompati in rete, oggi a causa delle rotture e perdite al rubinetto ne arrivano mediamente circa 75 litri. Pur essendo questo un buon risultato rispetto la media nazionale ed europea (vedi tabella di confronto di Hera), ciò significa che sia 1/4 dell’energia elettrica necessaria al sollevamento e pompaggio dell’acqua viene sprecata, sia 1/4 di acqua potabilizzata stessa viene dispersa sottoterra
European conference on asbestos monitoring and analytical methoids
“Indagine sulla presenza di fibre di amianto nell’acqua potabile” 5, 6, 7-12-2005
Environment Protection Agency – Office of Ground Water and Drinking Water – Distribution System White Paper – “Health Risks from Microbial Growth and Biofilms in Drinking Water Distribution Systems” 17-06-2002″.
Veritox “Health risk from pathogenic organisms in copper and in PEX pipes” 17-06-2008
La situazione nel Comune di Ravenna
Il Consiglio Comunale del Comune di Ravenna nel Marzo 2012 ha approvato all’unanimità un O.d.G. favorevole a procedere ad una rapida e progressiva sostituzione delle tubazioni e serbatoi in fibrocemento.
La situazione nel Comune di Bologna
Giovedì 5 giugno alle 18,30, presso la sala Prof. Marco Biagi in via Santo Stefano,119, il Quartiere Santo Stefano del Comune di Bologna ha organizzato una tavola rotonda sul tema H2A l’amianto nell’acquedotto di Bologna, con la partecipazione di:
Ilaria Giorgetti, Presidente del Quartiere Santo Stefano
Roberto Barilli, Direttore Generale Operations Gruppo Hera
Marco Farina, Responsabile inconvenienti igienici, animali infestanti e criticità ambientali del Comune di Bologna
Morando Soffritti, Presidente Onorario Istituto Ramazzini
Vito Totire, Rappresentante Associazione Esposti Amianto e Rischi Ambientali
Andrea Caselli, Dirigente Area Salute e Sicurezza CGIL Emilia Romagna
Ecco una breve sintesi dei lavori.
La Dottoressa Ilaria Giorgetti, Presidente del Quartiere Santo Stefano, ringrazia il Dr. Vincenzo Ranuzzi de’ Bianchi per aver promosso l’evento con la collaborazione dei realizzatori del documentario, Giuliano Bugani e Daniele Marzeddu, presenti in sala. Ritiene l’incontro di interesse generale in quanto nonostante dell’argomento se ne parli poco, potrebbero sussistere delle implicazioni di più ampia portata sulla salute dei cittadini. Per questo sono ringrazia i relatori che sono intervenuti all’incontro, sottolineandone la qualifica e la competenza dal momento che ciascuno di loro ha prestato attenzione all’argomento ormai da anni all’interno del proprio ambito professionale. Coglie l’occasione per ricordare che a breve Strada Maggiore rimarrà chiusa per alcuni mesi per lavori di rifacimento del manto stradale per permettere il transito del nuovo mezzo pubblico Cristalis, e anticipa al rappresentante dal Comune se vista l’occasione storica non sia possibile approfittarne per sostituire il tratto di tubazione in fibrocemento sottostante. Si da avvio alla proizione del documentario “H2A l’acquedotto in amianto” , a cui seguirà il confronto dei relatori.
La proiezione del documentario, visonato con attenzione da parte del numeroso pubblico presente e salutata con un applauso al termine, ingenera nei presenti uno stato d’animo abbastanza inquitante, per il fatto che viene pubblicamente dato risalto al fatto che “non si conosce” esattamente la portata della questione. La Presidente Giorgetti ha la presenza di spirito di dichiarare che effettivamente è una delle prime volte che si assiste ad un dibattito pubblico sul tema, sussistendo una sorta di tabù in materia da parte degli amministratori pubblici. Per questo è lieta di cominciare dando la parola ai relatori più esperti in materia.
L’Ingegner Roberto Barilli, Direttore Generale Operations Gruppo Hera, esprime come prima considerazione successiva al filmato, la necessità di precisare i ruoli svolti dai vari soggetti pubblici coinvolti nella tematica, ricordando in particolare le attribuzioni specifiche del gestore del servizio idrico:
– applicazione e rispetto delle norme esistenti in materia;
– rispetto gli standard qualitativi previsti dai parametri di legge;
– garanzia dell’erogazione del servizio;
Il gestore non ha invece competenze in materia di sanità, né il compito di fare valutazioni su “potenziali rischi”.
A titolo esemplificativo Barilli equipara il ruolo del gestore a quello dell’idraulico, cui spetta la manutenzione ordinaria e straordinaria dei tubi, ma non ha competenze sulla definizione dei parametri del flusso idrico, parametri che ha comunque il compito di far rispettare.
Fatta questa premessa, Barilli ricorda come l’Azienda è comunque da sempre consapevole delle potenziali e possibili implicazioni paventate dal documentario, tanto che già a partire dall’inizio degli anni 2000, Seabo prima ed Hera poi, stanno eseguendo un programma annuale di analisi su circa 150 punti della rete bolognese, regolarmente consegnate all’autorità sanitaria locale, da cui si evince la sostanziale assenza di tracce di fibre nell’acqua. Quindi chiarisce che non c’è la volontà nascondersi dietro il classico dito, e che la problematica viene valutata sempre con la massima attenzione, anche perché anche lui l’acqua, come tutti, la beve.
Il Direttore Generale Hera ribadisce comunque il fatto che attualmente i parametri normativi previsti sono rispettati (riconducibili per lo più all’ispezione ispezione visiva dello sfaldamento, al monitoraggio) pur ricordando che non esiste attualmente uno standard di riferimento sulle fibre di amianto disciolte in acqua.
Per quanto riguarda il futuro, Barilli ricorda come la progressiva sostituzione delle condotte in cemento-amianto, debba necessariamente essere prevista all’interno dei piani degli investimenti previsti dal Regolatore (Atersir), che da alcuni anni però sta stabilendo come priorità gli adeguamenti a norma del sistema fognario-depurativo.
L’Ingegner Marco Farina, Responsabile inconvenienti igienici, animali infestanti e criticità ambientali del Comune di Bologna, risponde subito alla proposta della Presidente Giorgetti riguardo l’opportunità di sostituzione del tratto di condotta in fibrocemento in Strada Maggiore, dicendo che non è possibile. I lavori di pavimentazione programmati si svolgono a livello della sede stradale, mentre la sede dell’acquedotto giace ad una maggiore profondità, e in base a questa programmazione tecnica economica non è possibile intervenire.
Prosegue riportando la posizione del Comune di Bologna, esposta dall’Assessore Rizzo Nervo il 18/10/2013 in sede di question time del Consiglio Comunale (ndr. rispondendo ad un’interrrogazione del Consigliere Massimo Bugani del Movimento 5 Stelle “chiarimenti sull’amianto nell’acquedotto bolognese“).
« L’acquedotto di Bologna serve circa 400.000 abitanti. A fine anni ’90 aveva circa un terzo (517 chilometri) delle sue condotte in cemento amianto. Le condotte in cemento amianto hanno avuto una grande diffusione a partire da metà anni ’60, uso interrotto dagli anni ’90 a seguito del divieto di produrre e commercializzare prodotti contenenti amianto. Le condotte in cemento amianto sono costituite da amianto in matrice compatta di gran lunga meno pericoloso rispetto al friabile (libero, tessuto, spruzzato). Il possibile rilascio di fibre dalla matrice cementizia delle tubazioni in cemento amianto dipende dalla sottrazione di ioni calcio e dall’aggressività dell’acqua, e l’acqua di Bologna, notoriamente dura, è poco aggressiva.
Studi internazionali su popolazioni esposte attraverso l’acqua potabile non hanno fornito sinora chiare ed inequivocabili evidenze fra eccesso di tumori gastrointestinali e consumo di acqua contenente amianto. Dal canto suo l’ Organizzazione Mondiale della Sanità a tal proposito afferma che “non esiste alcuna prova seria che l’ingestione di amianto sia pericolosa per la salute, non è stato ritenuto utile, pertanto, stabilire un valore guida fondato su considerazioni di natura sanitaria, per la presenza di questa sostanza nell’acqua potabile” ».
Il Professor Morando Soffritti, Presidente Onorario dell’ Istituto Ramazzini, delinea un’analisi storica delle patologie manifestatesi in correlazione all’amianto, cominciando dalla prima ondata dei lavoratori che maneggiavano l’amianto in miniera, susseguita da coloro che lavoravano nelle fabbriche produtrici di manufatti in amianto, susseguita dalla terza ondata della popolazione lavorativa che era quella che collocava i manufatti di amianto ( ad es. i lavoratori che costruivano case, allestivano le condutture dell’acqua e degli impianti petrolchimici, ecc.)… dopodiché ci fu la quarta ondata composta dai manutentori ossia coloro chiamati a mantenere in efficienza i manufatti (es. industria petrolchimiche, raffinerie, fonderie, laddove esistono tubazioni coibentate) comprendente coloro che maneggiavano ed installavano i manufatti… Oggi ci aspettiamo la quinta ondata, ossia la popolazione generale, rappresentata da coloro che non sapevano nemmeno di essere esposti al rischio, poiché magari abitavano in case con tetto in cemento amianto, o come i meccanici delle automobili che erano esposti alle pastiglie dei freni delle automobili… insomma la popolazione esposta al rischio di esposizione ambientale generale.
A questo aggiunge poi il dato di fatto per cui l’amianto non si distrugge, ma si accumula, ed i manufatti usati e rimossi sono stati depositati nel corso degli anni con delle modalità non sempre sicure e legittime, talvolta anche abbandonandolo in discariche a cielo aperto o sotterrandolo in malo modo. Fornisce poi un dato raggelante riguardante gli uomini della Provincia di Bologna, secondo cui il 34% dei decessi è causato dal tumore.
Sostiene quindi che è necessario assolutamente agire per diminuire i fattori di rischio, e per questo ritiene che sia necessario costituire un confronto tra Stato, Regione, Comuni per programmare la sostituzione ed informare i cittadini dei rischi.
Il Dottor Vito Totire, medico del lavoro dell’Asl di Bologna e psichiatra, Rappresentante Associazione Esposti Amianto e Rischi Ambientali, saluta con favore questo incontro perché denuncia l’assoluto silenzio da parte delle istituzioni di fronte a questo tema, quasi fosse un tabù parlarne. Sottolinea il fatto che la comunità scientifica italiana oramai ha condiviso univocamente il fatto che le fibre di amianto disciolte nell’acqua degli acquedotti sono estremamente pericolose e quindi il tema non è se procedere alla sostituzione delle tubature o no, ma quando farlo. Il fattore tempo ritiene sia fondamentale, in quanto la sostituzione non andrebbe fatta seguendo il principio della prudenza, ma per il fatto che non ci sono dubbi: esiste una correlazione certa tra le condotte e cisterne in cemento amianto il rischio di patologie di tumori derivanti da esposizione ad amianto. Questo rischio è verosimile non tanto per la condizione normale delle tubature, ma per i casi che non sono affatto infrequenti di rotture delle tubazioni, momento in cui si verifica il rilascio in quantità importanti di fibre di amianto (Ndr. cosa non infrequente in quanto nel Comune di Bologna pare si siano verificate mediamente due rotture di tubazioni al giorno nell’ultimo anno, secondo Pierluigi Monari, Dip. Chimica Università di Bologna, vedi video dal min 54.00).
Sottolinea il fatto che lo stesso gestore, se in un primo tempo manifestava un atteggiamento “minimalizzante” rispetto agli effetti, oggi ha un approccio più “aperto al confronto” facendo presente che il problema non riguarda solo la rete di sua gestione, ma è un problema di ordine generale essendo una prassi costruttiva diffusa in Italia e in tutto il mondo. A questo proposito sottolinea il fatto che la battaglia condotta per la bonifica dell’acquedotto a Bologna potrebbe diventare un caso per riproporre in tutto il mondo la problematica con la finalità ad arrivare ad una messa al bando universale dell’utilizzo di materiali in cemento amianto, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
Un’ulteriore considerazione riguarda il fatto che il oggi gestore in caso di rottura si occupa della sostituzione solo di piccoli tratti di tubazione, di fatto i pochi metri interessati alle riparazioni. Quindi fa notare come di questo passo se non basterebbero neanche 500 anni per sostituire le tubazioni se nessuno si decide a fare quello che andrebbe fatto, ossia bonificare la rete. Sollecita vivamente l’amministrazione cittadina, di concerto con enti sanitari e gestore della rete idrica, ad attivarsi da subito per definire il programma di bonifica dell’acquedotto dal cemento amianto.
Il Signor Andrea Caselli, Dirigente Area Salute e Sicurezza CGIL Emilia Romagna ritiene che il problema dell’amianto è una vera emergenza sociale, sanitaria ed ambientale, in Emilia Romagna l’anno scorso sono morte 152 persone di solo mesotelioma (sono quelle censite dal RENAM e probabilmente la cifra reale dei morti per patologie asbesto correlate è più alto), in Italia nel 2013 sono state più di 1500. Affrontare di petto il problema rappresenta un doveroso risarcimento sociale per le sofferenze generate e per il disastro ambientale procurato.
La gravità della situazione e la lentezza con cui prosegue l’attività di bonifica e di ricerca sulle cure ecc. ci ha convinto come CGIL ER di presentare una piattaforma complessiva sul tema Amianto che potete leggere e scaricare a questo indirizzo: http://www.er.cgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/143
La visione del problema deve essere complessiva sono necessari il piano nazionale amianto (il 19 giugno saremo a Roma davanti a Montecitorio con i lavoratori dell’OGR) chiediamo modifiche legislative che permettano la completa rimozione dell’amianto dal territorio e dai processi produttivi un impegno straordinario della regione Emilia romagna, e delle amministrazioni comunali, uscendo dalla “normale amministrazione” ricerca cura (coordinamento) monitoraggio e pratiche di sorveglianza sanitaria, ambulatori amianto in tutte le province, bonifiche e smaltimento.
Nello specifico dell’amianto delle condutture dell’acqua potabile, è necessario aprire urgentemente una istruttoria pubblica, per definire soluzioni, a 22 anni di distanza dalla legge 257/92, e a 18anni dal DM del 96 (allegato 3)* quasi nulla si è fatto per affrontare il pericolo rappresentato dalla presenza di amianto nelle condutture.
E’ inaccettabile che le Istituzioni pubbliche non rispondano ai cittadini, trincerandosi in un silenzio che aumenta l’allarme sociale per i rischi sanitari.
Intanto va accettato come fondamentale il principio di precauzione, la presenza eventuale di fibre di amianto nell’acqua potabile è un rischio per la salute che non può essere ignorato.
La stessa normativa- DM del 96 (allegato 3) – è insufficiente e contradditoria, si sminuisce il rischio, poi si dice che che si possono ancora utilizzare i manufatti acquistati prima del ’94 salvo che “sotto il profilo dell’opportunità” bisognerebbe limitarne l’uso col passare del tempo e poi “si richiama l’attenzione delle competenti amministrazioni sulla esigenza di programmare in TEMPI RAPIDI la progressiva e sistematica eliminazione delle tubazioni …” , come si vede ampiamente contradditoria, eppure essa avrebbe permesso, se la volontà politica di tutela della salute avesse prevalso, di utilizzare proficuamente il tempo trascorso.
La vetustà delle reti, il pericolo che rotture, anche indotte da eventi sismici liberino fibre nell’acqua va considerato come un pericolo potenziale, ma reale.
L’approccio del Dott. Soffritti sui rischi sanitari da ingestione ed inalazione delle fibre di Amianto è chiaro.
Solo la completa trasparenza e conoscenza dei fatti reali può evitare allarmismi ingiustificati, e indurre le istituzioni ad intervenire a salvaguardia della salute dei cittadini.
Quindi è necessario predisporre un quadro di misure condivise: aumento nella diffusione spaziale e temporale dei controlli e delle analisi sull’acqua. Propedeutico a questo è l’esatta conoscenza delle reti in cemento amianto, della loro localizzazione ed estensione (HERA deve mettere a disposizione una chiara mappatura delle reti in cemento amianto, il suo grado di vetustà e le tratte più frequentemente soggette a rottura).
Vanno discusse pubblicamente con una istruttoria scientifica pubblica le metodologie e le strumentazioni per le analisi e le corrette interpretazioni dei dati, questo può rappresentare una base comune di condivisione.
Non si dica che è troppo oneroso, tutto ciò è indispensabile per evitare allarmi ingiustificati e inazione in presenza di un rischio reale.
I punti di Monitoraggio, la loro quantità, la loro frequenza devono essere condivisi nell’istruttoria pubblica.
I dati del monitoraggio devono essere pubblici, facilmente accessibili e diffusi in tempo reale ciò serve, per tranquillizzare i cittadini dove non c’è l’evidenza di liberazione di fibre di amianto e per programmare gli interventi dove la situazione evidenzi problematiche in atto.
Vanno indicate le soluzioni, questa è la responsabilità primaria delle istituzioni e di tutti coloro che prendono parola.
Noi come CGIL siamo consapevoli che una misura di prevenzione primaria come la completa rimozione delle condotte in cemento amianto sia onerosa (l’istruttoria pubblica dovrebbe servire anche a quantificarne la consistenza, in quanto troppe cifre girano senza reale fondamento), ma praticabile con un piano pluriennale, sapendo che l’intervento nelle aree urbane rappresenta un problema importante.
Questo non significa che nulla si può fare: un piano straordinario di rinnovamento della rete dovrebbe prevedere un impegno costante e programmato, intanto a partire dalle situazioni dove le evidenze analitiche hanno dimostrato che il pericolo è concreto ed attuale, poi dove il rischio è più alto.
Sarebbe a questo proposito necessario un investimento pubblico pluriennale, a fondo perduto, e le risorse vanno reperite sia con strumenti di finanza pubblica, sia con l’utilizzo di fondi europei.
Questi interventi, rappresenterebbero un fattore di sviluppo economico con funzione anticrisi, produrrebbe lavoro utile alla prevenzione primaria, per la salute , per l’ambiente.
Dare risposte, rendere chiaro il problema, programmare gli interventi con meccanismi informati e partecipati evita che si diffonda un allarme devastante sull’uso dell’acqua potabile, spingendo i cittadini o a rivolgersi al mercato delle acque minerali (peraltro inutilmente in quanto la contaminazione avverrebbe anche solo per il lavaggio della casa, delle stoviglie e degli abiti e della persona) o ad ingenerare comportamenti fatalistici, di supina accettazione del rischio (vero o presunto che sia).
La necessità è quindi affrontare il problema e non nasconderlo, ma farne capire la portata reale sia sul piano del rischio, sia sul piano effettivo nelle diverse situazioni.
Solo meccanismi partecipati ed informati possono costruire risposte adeguate.